5 domande a... Gabriele Grazzini



La terza intervista sul basket durante la pandemia di Covid-19 vede come protagonista un coach che è stato nel mezzo della situazione più critica in Italia, quella di Bergamo.

Ecco quindi come ha risposto alle domande di Rushandslam e Fortitudo Savona il vice allenatore del Basket Bergamo 2014, quest'anno militante in A2.

Dopo una carriera da allenatore e vice sia in Italia che all'estero ed aver fondato FullCourt la vita cestistica lo ha portato a confrontarsi con una situazione che pochi si sarebbero immaginati, vediamo come a Bergamo, città al centro dell'emergenza, si è percepito l'arrivo delle problematiche legate alla pandemia.

1) Hai fatto la stagione come vice allenatore a Bergamo in A2, come avete appreso l'arrivo delle problematiche legate al virus e cosa ha comportato per voi lo stop al campionato?

Dalla seconda metà di febbraio in poi è stato un susseguirsi di eventi mai vissuti prima ed abbiamo continuamente dovuto aggiustare la rotta per stare dietro alle indicazioni delle autorità. 
A Bergamo eravamo nel mezzo di un piccolo vortice che pian piano stava prendendo velocità… le zone rosse, gli allenamenti senza docce, le palestre che pian piano stavano chiudendo... All’inizio chiunque di noi diceva “è solo un’influenza” e voleva continuare a giocare ed allenarsi, poi ben presto ci siamo resi conto della gravità. 
Fino alla mattina del 9 marzo, nostro ultimo appuntamento assieme. Eravamo una squadra in grande crescita nel girone di ritorno, avevamo tutti la netta sensazione che ci saremmo salvati sul campo. Ho ancora i brividi se ripenso a quei giorni ed a quello che è successo dopo. 

2) Quali conseguenze ha portato lo stop nel rapporto con gli atleti specialmente quelli stranieri?

La disinformazione ed i morti che crescevano ogni giorno sono stati elementi catalizzatori di una paura collettiva che ha portato due stranieri su tre, Ogunleye e Carroll, ad andarsene praticamente subito. Jackson, la cui famiglia (moglie e due bambini) era appena arrivata a Bergamo, ha avuto la strada sbarrata fino a qualche giorno fa: sono riusciti a tornare in Serbia dai genitori della moglie solo venerdì 29 maggio.
So cosa significhi lavorare in un Paese che non è il tuo, non oso pensare a cosa abbiano provato, nel loro profondo, questi ragazzi e i loro parenti in quei giorni. 

3) Lo stop forzato ha costretto gli atleti a tenersi in forma autonomamente, ci sono state indicazione da parte del coaching staff per i giocatori?

Certamente, anche perchè all’inizio sembrava che i campionati sarebbero ripresi e noi volevamo farci trovare pronti. Adesso la vera sfida per i ragazzi è rimanere in forma nonostante non si sappia se e quando ricominceranno le attività agonistiche e nonostante le varie misure di sicurezza che impediscono i contatti fisici.

4) Quali problematiche organizzative ci saranno al momento della riapertura per le società professionistiche? 

Viviamo in un paese, l’Italia, che ha nei propri punti deboli la bassa qualità degli impianti sportivi, anche ad alto livello. Già prima, la struttura dei parcheggi, gli accessi alla tribuna, la qualità dei posti a sedere, il clima, erano spesso motivi di poca comodità… 
Figuriamoci cosa può succedere adesso e a cascata nei vari campionati giovanili e nelle serie minori. Dovremo essere bravi tutti, sportivi e burocrati, a fare uno sforzo per rendere davvero sostenibile un bene di tutti. 

5) Essendo anche organizzatore di iniziative estive internazionali di sport, quale potrebbe essere uno scenario immediato ed uno a lungo termine per questo tipo di eventi?

Nell’immediato noi di Fullcourt abbiamo preso la strada più drastica, meno remunerativa per noi, ma più sicura per i ragazzi: abbiamo messo i nostri camp del 2020 in stand by e siamo attivi solo sul fronte delle borse di studio negli Stati Uniti. 
Stiamo però studiando le varie misure di sicurezza e contiamo di tornare in campo con i ragazzi al più presto, ce lo chiedono le famiglie che da tanti anni si fidano di noi.

Credo che queste parole diano uno spaccato di cosa sia significato il periodo appena trascorso per chi si trovava in prima linea nel centro della lotta al Covid-19.
Nelle parole di coach Grazzini c'è, però, anche la speranza di poter ricominciare a vivere l'attività sportiva nel rispetto delle norme e della sicurezza per la salute.

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